Corona in Italia - Una distopia?
Sono consapevole che non tutte le persone reagiscono nello stesso modo, e la paura è un effetto collaterale di questo virus; chiudere un intero Paese equivale ad esporlo alle sue stesse debolezze. Ascoltando le notizie tutto il mondo sta affrontando la nostra stessa situazione e mai come prima d’ora possiamo definirci realmente una comunità e una società globale, dovendo superare le stesse difficoltà.
Italy, Southern Europe
Story by Sati Nunziati. Translated by Sati Nunziati
Published on April 8, 2020.
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Un mese fa non avrei potuto immaginare la situazione surreale in cui ci stiamo trovando. Echi dall’estremo Oriente, niente di più. “E’ solo un’influenza!” era quello che stavamo pensando, e se non si ascoltavano né leggevano notizie quell’eco era ancora più lontano.
I primi ad ammalarsi furono una coppia di anziani cinesi, tenuti però sotto controllo in uno dei migliori ospedali della capitale, mentre le nostre vite continuavano ad andare avanti, impegnate a risolvere i problemi di tutti i giorni.
A fine Febbraio, all’improvviso in una piccola cittadina in provincia di Bergamo, una della aree più industrializzate del Nord Italia, l’intera comunità ha iniziato ad ammalarsi e il virus ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio. Ma ancora pensavamo che fosse “solo un’influenza”.
La sera del 7 Marzo 2020 ero a tavola a casa di mia mamma con il mio ragazzo. Avevamo appena finito di cenare e stavamo chiacchierando tranquillamente. A mia mamma arrivò un messaggio da un’amica che vive a Milano. Era una fuga di notizie e sembrava che il Governo stesse per annunciare la chiusura completa di tutto il Nord d’Italia in una “Zona Rossa” per prevenire l’ulteriore diffusione del virus in tutto il resto del Paese. Era fatta. In molti, sopratutto giovani, lavoratori e studenti al Nord in massa per tornare al Sud, dalle loro famiglie. Decisamente una mossa non saggia nel prevenire la diffusione di un virus che si muove velocemente da organismo a organismo solo attraverso un colpo di tosse o uno starnuto.
Dal 9 Marzo siamo ufficialmente e praticamente in quarantena, non usciamo di casa se non strettamente necessario, per lavoro o per fare la spesa. Da due settimane la chiusura ha coinvolto tutte le categorie di lavoratori, tranne quelli considerati strategici, ovvero quelli connessi a necessità di base come i supermercati o le farmacie. Nel giro di una notte le nostre vite sono cambiate completamente, le nostre abitudini, il nostro modo di percepire il mondo e gli altri si è dovuto adattare in qualcosa di nuovo, di sconosciuto. Certamente le persone sono tutte diverse le une dalle altre, come lo sono i modi in cui si possono affrontare situazioni difficili, e le emozioni oscillano tra la paura e la speranza.
Forse nella mia vita ho visto troppi film e ho letto troppi romanzi distopici, e quello che stiamo vivendo si avvicina tremendamente a molte di quelle visioni, ma il mio cuore è sempre stato segretamente ottimista. Ho visto persone uscire nei terrazzi e nei balconi, dai loro giardini e dalla finestre cantare, suonare o semplicemente farsi compagnia, coscienti della situazioni drammatica in cui siamo forzati, molti di noi in completa solitudine, ma senza arrendersi. In tutta questa sofferenza vedo la forza di voler superare momenti difficili con un sorriso.
Sono consapevole che non tutte le persone reagiscono nello stesso modo, e la paura è un effetto collaterale di questo virus; chiudere un intero Paese equivale ad esporlo alle sue stesse debolezze. Ascoltando le notizie tutto il mondo sta affrontando la nostra stessa situazione e mai come prima d’ora possiamo definirci realmente una comunità e una società globale, dovendo superare le stesse difficoltà.
La mia speranza come essere umano è poter utilizzare questa situazione come un’opportunità per riconsiderare e rivalutare cose che avevamo iniziato a dare per scontate, sia come individui che come società. E’ l’occasione giusta per riuscire a percepirci come parte di un ‘ecosistema che ha bisogno di essere protetto e preservato. E’ l’occasione giusta per ridare forma alle dinamiche economiche, non solo a livello locale, ma riuscire a riconsiderarle a livello globale. È l’occasione giusta per crescere come esseri umani. E’ l’occasione giusta per abbandonare velocità, produzione e consumo per riscoprire il valore del tempo, della creatività e delle relazioni.
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