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Figlia di una prostituta

Nel posto dove sono cresciuta mi dicevano che se qualcuno mi avesse toccata o provato a comportarsi male con me, sarebbe stata colpa mia, perché ero io che gli permettevo di farlo.
India, Southern Asia

Story by Taniya Yadav. Translated by Stefania Ledda
Published on May 17, 2021.

This story is also available in GB cn es kr



Attenzione: questa storia contiene episodi di violenza di genere, violenza sessuale e comportamenti suicidari che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni lettori.

 

Il mio nome è Taniya, ho 24 anni e sono nata a Calcutta, nel Bengala Occidentale dell’India. Mia madre proveniva da una famiglia molto povera. Aveva dieci fratelli - tre maschi e sette femmine. Mio nonno era un pandit[1] e non guadagnava abbastanza per mandare avanti la casa. Per lui era davvero difficile dare un’istruzione a tutti i suoi figli, che più tardi obbligò a fare lavori umili come l’assistenza domestica.

Mia madre fu venduta in una pila house[2] a Kamathipura, il quartiere a luci rosse di Mumbai, quando aveva nove anni. Si sposò con uno dei suoi clienti e rimase incinta di me quando aveva 15 anni circa. Dopo una settimana dalla nascita, mia madre mi lasciò a mia zia e tornò a Mumbai per continuare a lavorare come prostituta.

Da bambina non avevo una vita facile. Ancora ricordo che a volte andavo a dormire senza mai mangiare per 4 o 5 giorni. Bevevo e dormivo. Non avevo mai mangiato 3 pasti al giorno. Gli altri bambini della mia età mi bullizzavano e mi deridevano, dicendo: “Tu non puoi giocare insieme a noi perché tua madre è una prostituta, non vieni a scuola con noi.”

Ero una bambina, e si supponeva che andassi a scuola. Invece, ero una bambina che veniva sfruttata nel mercato poco lontano. Portavo i secchi dell’acqua al pescivendolo e per ogni secchio mi davano in cambio 2 rupie. Non solo, mi toccavano nelle parti intime. Tutto questo continuava a succedere, e avevo sempre paura di dirlo a qualcuno.

Un giorno, all’improvviso, una donna arrivò a Calcutta affermando di essere mia madre e che mi avrebbe portata con sé a Mumbai. Avevo all’incirca 8 anni e io non avevo mai incontrato questa donna prima; non la conoscevo affatto. Avevo paura di andare con lei. Alla fine, dopo che mia zia mi aveva assicurato che lei era davvero mia madre, andai con quella donna a Mumbai.

Il giorno in cui arrivai a Mumbai, mia madre mi presentò a un uomo, il mio patrigno, dicendo che era mio padre. Visto che ero una bambina, le credetti; anche perché non avevo mai incontrato il mio vero padre né visto una sua foto. Scoprii anche di avere due sorelle andate lontano per studiare in collegio. All’età di 9 anni, mia madre e quell’uomo mi mandarono in una casa gestita da una ONG chiamata Asha Sthan.

Ricordo che ogni sera si preparava come se stesse per andare a una festa.

Alcuni anni dopo - credo avessi circa 13 anni e mezzo - mia madre decise di andare a prendere me e le mie sorelle dalle case rifugio. Trovò me e la mia sorella più piccola, Mahek, ma non trovammo più l’altra mia sorella più piccola di me.

Per me era difficile essere tornata a casa dopo così tanto tempo. Era cambiato tutto. Il mio patrigno picchiava mia madre ogni giorno. Non riuscivo a capire perché stesse succedendo e non riuscivo ancora a realizzare che mia madre fosse una prostituta.

Ricordo che ogni sera si preparava come se stesse per andare a una festa: rossetto luminoso, un sari[3] viola splendente, gioielli e capelli lisci. Quando tornava a casa, di solito era ubriaca. Non ho mai avuto il coraggio di chiederle quale tipo di lavoro facesse perché non avevamo un buon rapporto madre-figlia.

Un giorno, mia madre andò via e non tornò più. Chiesi al mio patrigno di portarmi nel posto dove lei lavorava, vicino a una delle stazioni ferroviarie locali di Mumbai. Mi portò nel quartiere a luci rosse e quello fu il giorno in cui scoprii che mia madre faceva la ballerina in un dance bar[4] ed era una prostituta. Ero terribilmente devastata - avevo già guardato film che mi avevano dato un’idea di come le prostitute fossero ed erano sempre viste sotto una cattiva luce. Quella notte, quando trovai mia madre, le chiesi di ritornare a casa, ma lei si rifiutò. Tornai a casa sperando che sarebbe ritornata. Non lo fece.

Sentivo di vivere la vita di mia madre; ero stufa di tutto.

A casa rimanemmo io, mia sorella e il mio patrigno. Lui iniziò a picchiarmi quasi ogni giorno e dopo un po’ quell’abuso si trasformò in stupro. Mi minacciava, dicendo che se mi fossi rifiutata di dormire con lui, avrebbe fatto lo stesso a mia sorella. Allora non avevo molta scelta. Ricordo ancora la prima volta che dormii accanto a lui.

Sentivo di vivere la vita di mia madre; ero stufa di tutto. Volevo rinunciare alla vita, farla finita, ma non volevo nemmeno che a mia sorella sarebbe potuto accadere qualcosa di brutto. Ecco perché andai alla stazione di polizia per tre volte, per denunciare l’abuso e chiedere aiuto. I poliziotti mi mandarono a casa dicendo che era una cosa normale, un affare di famiglia. Una volta mi dissero: “Adesso hai 16 anni e non possiamo raccogliere la tua denuncia fino a quando non avrai 18 anni.” In seguito, chiamarono il mio patrigno, che mi picchiò subito dopo per aver tentato di denunciarlo. Visto che i poliziotti mi voltarono le spalle più volte, tentai il suicidio.

Ma sopravvissi.

Ero indifesa ma non debole. Volevo combattere per mia sorella. A quel tempo, non conoscevo una singola persona a Mumbai. Non sapevo dove andare o a chi chiedere aiuto, e non avevo soldi. Poi un giorno, mi ricordai di un’amica dell’Asha Sthan. Le raccontai che cosa stavo affrontando e mi disse di un’organizzazione con cui lavorava, Kranti, che operava per aiutare i bambini figli di prostitute, dai 12 ai 22 anni, e altre donne sfruttate provenienti da Mumbai, per aiutarle ad avere un’istruzione, riscattarsi da un silenzioso dolore e diventare agenti del cambiamento sociale.

Quella notte, mentre pensavo alla Kranti, dissi a mia sorella Mahek che sarei andata via il giorno dopo, ma le promisi che un giorno sarei tornata per lei. Avevo bisogno di tempo per trovare un posto sicuro per il nostro futuro. Temeva che me ne sarei andata per sempre, e iniziò a piangere. Che cos’altro avrebbe potuto fare? Aveva solo 8 anni.

Credo di essere rinata il giorno in cui arrivai alla Kranti e incontrai Robin.

Il 9 giugno 2013 lasciai casa e non tornai più. Quella è stata la scelta più difficile che ho mai preso. Era davvero difficile lasciare mia sorella con il mio stupratore.

Credo di essere rinata il giorno in cui arrivai alla Kranti e incontrai Robin. Mi portò da un terapista. Al tempo, non sapevo che cosa fosse un terapista. Per la prima volta in 16 anni, mi potevo sedere di fronte a qualcuno e piangere ad alta voce. Ma più di tutto, avevo qualcuno seduto vicino a me che mi diceva che andava tutto bene e che non era colpa mia.

Promisi a me stessa che avrei tirato fuori Mahek entro 1 anno. La salvai e la portai alla Kranti in 8 mesi.

Da quel momento Kranti diventò la mia famiglia e la mia casa, il mio posto felice. Kranti mi ha dato un amore che non avevo mai immaginato, e le attenzioni e la cura che ho sempre desiderato. Mi ha dato la migliore istruzione e soprattutto terapia. Ancora oggi ho bisogno di aiuto perché il trauma del mio passato è ancora lì. Non potrò mai negarlo. La terapia mi aiuta a realizzare che tutto ciò che posso fare è accettare il mio passato e andare avanti con la mia vita.

Nel posto dove sono cresciuta mi dicevano che se qualcuno mi avesse toccata o avesse provato a comportarsi male con me, sarebbe stata colpa mia, perché ero io che gli permettevo di farlo. Persino adesso i miei amici e tutte le persone che mi conoscono continuano a chiedermi: “Perché non l’hai detto a qualcuno?”. Non l’ho mai detto a nessuno perché avevo paura di essere giudicata e di sentirmi dire che era tutta colpa mia.

Voglio continuare a raccontare la mia storia, perché ha il potere di cambiare la vita di qualcuno - e non importa quante persone mi punteranno il dito contro dicendo che era colpa mia. Ognuno di noi combatte una silenziosa battaglia durante il proprio viaggio. Uso questa frase come mantra.

Oggi sono un’istruttrice di Zumba certificata, una terapista di gruppo, un’invitata capace di ispirare e una futura assistente di volo. Ultimamente ho iniziato il mio workshop chiamato “Un po’ di felicità”, lavorando con bambini che vivono in case rifugio per aiutarli a guarire dai loro trauma facendo attività ricreative, come la Zumba. Ho ancora molta strada da fare, ma ciò che più conta per me è andare avanti.


[1] Uno studioso hindu esperto in filosofia e religione sanscrita e hindu, di solito è anche un prete praticante.

[2] Durante l’impero britannico, il quartiere a luci rosse era chiamato ‘playhouse’. Nel corso degli anni, visto che le persone ricorrevano alla fonetica invece che alla parola vera e propria, il termine ‘pila house’ iniziò a diffondersi e divenne quello più comunemente usato.

[3] Il sari è un tradizionale indumento femminile del subcontinente indiano e consiste in una fascia di stoffa larga circa un metro avvolta intorno al corpo dell'indossatrice con metodi che variano a seconda della sua funzione. Lo stile più comune di indossare il sari è lo stile Nivi.

[4] ‘Dance bar’ è un termine usato in India per riferirsi ai bar dove l’intrattenimento per adulti, con danze fatte da donne parzialmente coperte, viene organizzato per i clienti abituali in cambio di denaro.


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Taniya Yadav

Taniya Yadav

Taniya, 24 years, is a licensed Zumba instructor. She is the daughter of a sex worker and was born and raised in Kamathipura, Mumbai's largest red light area. After facing sexual abuse for years at the hands of her mother's clients, Taniya finally ran away to an NGO called Kranti. At Kranti, she got access to therapy to heal, and opportunities to pursue her dreams.Taniya teaches Zumba to children living in shelter homes to heal from their trauma, like she healed from hers.

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